
La sfida complessa
di Valentino Lenoci (Consigliere della Corte d’Appello di Bari)
Essere magistrati, oggi come ieri, significa innanzitutto essere consapevoli della propria indipendenza, e del fatto di esercitare un “potere” che trova la sua legittimazione non nel consenso popolare, ma nella Costituzione repubblicana, il che comporta anche maggiori responsabilità in ordine alle modalità con le quali questo potere viene esercitato.
La magistratura, e il sistema giudiziario in genere, sono da tempo nell’occhio del ciclone, per varie ragioni: la difficoltà di gestire carichi di lavoro sempre più elevati, la cronica carenza di mezzi e strutture, la conflittualità col mondo politico che si ritiene leso nelle sue prerogative da iniziative giudiziarie, comportano spesso critiche e tensioni, alcune giustificate, altre ingiustificate.
In questo contesto, al magistrato vengono richieste competenze sempre maggiori, sia dal punto di vista tecnico-giuridico, sia sotto il profilo strettamente pratico. Da un lato, infatti, la complessità del sistema giuridico – caratterizzato dalla interazione tra diritto interno e diritto UE, e da un’organizzazione multilivello delle Corti nazionali e sovranazionali – impone un costante aggiornamento professionale ed una formazione permanente, resa oggi molto ricca dall’attività della Scuola Superiore della Magistratura e della Rete Europea di Formazione Giudiziaria. Dall’altro, l’introduzione del processo telematico e l’importanza dei profili organizzativi comportano la necessità di conoscere e comprendere l’informatica e le scienze dell’organizzazione, e quindi di ampliare le proprie vedute ad altri saperi e ad altri settori scientifici.
Il magistrato moderno, in realtà, non può essere considerato come un soggetto isolato dal contesto in cui opera. Il giudice oggi è sì un esperto di diritto, ma, per le materie in cui opera, dovrebbe conoscere anche l’economia, la sociologia, la storia, dovrebbe quindi essere anche culturalmente “attrezzato” per poter giudicare non soltanto meccanicamente, ma sapendo che, dietro ogni fascicolo processuale, ci sono persone e vicende umane.
Per questo è importante il confronto continuo con il Foro, l’Accademia, la stessa società civile, anche perché alla magistratura vengono spesso delegate – per l’insipienza della politica – scelte di carattere generale, che attengono alla tutela di interessi superindividuali (si pensi alle questioni ambientali, alla bioetica, alla concorrenza, ecc.)
Il rischio sempre presente, invece, è quello della “burocratizzazione”, del considerare la propria attività come un compito meramente impiegatizio, ed i fascicoli processuali come delle semplici “pratiche” da evadere il più presto possibile. Sovrastati da carichi di lavoro sempre più ingestibili e da rischi disciplinari sempre maggiori, il giudice oggi è costretto alla difficile scelta tra efficienza e garanzia, tra durata ragionevole e durata adeguata alla complessità del caso, tra tutela e “velocità”.
La sfida dei magistrati, oggi, è allora quella di riuscire a coniugare il servizio e la professionalità, custodendo e rivendicando i principi costituzionali di autonomia ed indipendenza, l’importanza della formazione e l’apertura ed il dialogo con la società. Sfida difficile e complessa, ma nello stesso tempo da raccogliere ed affrontare, e che rende il nostro lavoro, nonostante le mille difficoltà, ancora entusiasmante.
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