La strada dei bit
di Tania Rizzo (Avvocata in Lecce)
I social sono, a mio modo di vedere, un ottimo mezzo per leggere i cambiamenti culturali. Essi stessi, anzi, fungono da cambiamento e ne sollecitano altri. Non sempre piacevoli, a dire il vero. Se si esce dalla torre eburnea, nella quale spesso ci rifugiamo per paura o forse incapacità al dialogo, ci troviamo spiazzati dalla schiettezza con cui tanti, molti esprimono una profonda idiosincrasia verso l’umanità.
Si leggono termini di odio, rancore, intolleranza profondi verso persone, idee, addirittura diritti, come se la tastiera da cui si scrivesse fosse vestibolo per scaricare le proprie frustrazioni verso il mondo orbe-terraqueo.
Qualcuno di immensamente più autorevole di me liquidava la faccenda definendo stolti o stupidi tali persone e un neologismo li bolla come web-idioti ma non sono convinta che si possa fingere che tale fenomeno non esista, anzi.
Il virus dell’individualismo non ha colpito solo chi fomenta odio, razzismo, misoginia e ogni genere di paura (già… tutte idee nate dalla paura, non dimentichiamolo) verso la bellezza della vita ma, purtroppo, ha innegabilmente e sottilmente intriso anche noi che inneggiamo alla tutela e salvaguardia dei diritti.
I risultati di questo virus sono mutevoli ma avviano una strada oscura.
Nel campo del processo penale si osserva sempre più come la paura sociale, mutuata poi in paura normativa e nomofilattica, viri da un processo basato su una (parziale) parità delle parti verso una lenta ma inesorabile riaffermazione del processo inquisitorio o comunque di stampo inquisitorio: più importanti, quando non definitive nell’immaginario collettivo e anche nelle norme, le indagini preliminari svolte dalle Procure, poco margine alla difesa, grado di appello spesso vissuto mone un minus e da pochi giorni cartolare (si dice che lo sarà per il virus… lo auguro a tutti noi!), imputati possibilmente a casa o negli studi dei difensori e dietro un monitor, persone offese esaltate in sede di accertamento preliminare e poi abbandonate dai tempi disumani della non-prescrizione.
Nemmeno Kafka il visionario, mi pare, sarebbe arrivato a osare quello che oggi, a colpi di riforme e modifiche, stiamo già vivendo.
Tutto questo con la complicità del silenzio dei più: cittadini; avvocati quando non specificamente interessati; magistrati spinti a produrre risultati e non più a inventare giurisprudenza, cioè la scienza del diritto; pensatori; politici (da non confondersi con i politicanti).
Nessuno fiata. Tutto va bene.
Il centro, il cuore del processo penale totalmente stuprato (da donna uso questo termine sempre con enorme fatica) e nessuno alza gli occhi per guardare la realtà.
E vorrei che tutto si chiudesse in quest’ambito ma non è così: la sanità pubblica, come stiamo appurando oggi, terrorizzati dal covid, è oggetto da decenni di abbandono e tradimenti noti ma poco interessanti per la fascia televisiva del primo pomeriggio; la scuola pubblica è stata lasciata andare sulle gambe dei pochissimi dirigenti e docenti volenterosi, ovviante finché esisteranno; l’università oramai ridotta a un accrocco di ultra-sessantenni quasi sempre lontani mille miglia dall’idea che il proprio sapere sia tale se ceduto a menti giovani, insieme al proprio status e stipendio.
Individualismo.
In Italia ne siamo tutti visceralmente ammalati.
E i pochi che provano a perorare cause comuni o ad aiutare altri vengono puntualmente additati come arraffoni e profittatori.
I social, dicevamo. Qui si può assistere emblematicamente al crescendo di questa cultura che ci vuole tutti contro tutti.
Tuttavia, mai come oggi, proprio dalla comunicazione veloce si può provare a invertire la rotta, a cambiar strada.
Pensare ai diritti; parlare di diritti; scrivere sui diritti come un mantra per non cedere all’ignoranza, all’indifferenza, alla misantropia.
I diritti come volano verso la ricostruzione sistemica del nostro essere e volere essere.
Dialogare sempre, anche con bit, anche a dispetto della voglia di non scendere a livelli altrui, ricordando che poi, quei livelli esprimono voti, governi, leggi, riforme.
La polemica, non dimentichiamolo, è ars retorica che, certo, necessita di conoscenze e, aggiungo, di tanta pazienza, ma dialogare confutando le bislacche o, peggio, maleodoranti tesi di chi vive esclusivamente dietro un tastiera, resta come testimonianza, anche motivo di riflessione per i giovani che leggono i social, per i derisi, i vessati, i bistratti che possono riprovare ad avere speranza, per coloro che, anche lontani, possono riflettere sulla cultura della SOLIDARIETA’, quella per cui una mascherina protegge l’altro quando anch’io sono l’altra.
Solidarietà nel dialogo sui diritti, nei gesti per i diritti, nella speranza per il futuro.
La cultura passa anche da internet, piaccio o no, e non si può più fingere non sia così.
La strada dei bit che ci aiuti a deviare da quest’oscurità in cui ci siamo, con le nostre mani, rovinosamente condotti persistendo nel pensare solo ai nostri singoli orticelli e non guardare mai più in la.
“Con un sospiro mi capiterà di poterlo raccontare
chissà dove tra molti e molti anni a venire:
due strade divergevano in un bosco, e io-
io ho preso quella meno battuta, da qui tutta la differenza è venuta”
(La strada non presa, Robert Frost)
Image credit: press 👍 and ⭐ da Pixabay
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