
Progettare (e) futuro
di Silvia Bona (Business designer – Milano)
Ogni professionista maneggia quotidianamente un futuro: lo fa quando si trova a costruire, gestire, valutare, abitare progetti. I progetti, infatti, sono intrisi di futuro.
Da un lato il futuro ne ha bisogno perché “non si prevede, ma si prepara” (M- Blondel), dall’altro ne è l’oggetto: un progetto è tale solo se permette di attualizzare una possibilità tra tutte quelle disponibili per rispondere ad un bisogno o esaudire un desiderio.
Di questa connessione c’è traccia nella stessa parola “progettare”: “pro-iactare”, “gettare in avanti” o gettar-si in avanti per collegare, mettere in relazione quel che c’è oggi con quello che si vuole che ci sia domani attraverso un’azione metodologicamente orientata.
Tuttavia, tutto questo futuro resta spesso nascosto nelle pieghe del progetto e sfugge al progettista, al project manager, al team che vi lavora depotenziando le sue chance di raggiungere i risultati attesi e di impattare sulla realtà come potrebbe.
Le ragioni sono molte: un po’ perché la connessione tra progetto e futuro potrebbe sembrare ovvia finendo per non vederla più – ma perdendo anche ciò che nell’ovvio non è affatto scontato -, un po’ perché l’operatività che i progetti portano con sé schiaccia spesso sul qui ed ora, un po’ perché una certa cultura manageriale ci ha abituato a mettere enfasi sugli obiettivi e sulle performance e meno attenzione sull’impatto.
Spesso ciò che ci aspettiamo da un progetto sono degli output: dei prodotti o dei servizi, come una sedia funzionale ed elegante, un percorso formativo “wow!”, un processo efficiente ed efficace di assistenza (legale).
Ma come ricorda Luigi Ferrara, Direttore della School of Design del George Brown College di Toronto,
“non si progettano prodotti o servizi, ma effetti”.
Lo scopo di un progetto è sempre un outcome, uno stato di mondo, un fare essere qualcosa di nuovo che senza il nostro lavoro non sarebbe o almeno non sarebbe così. Ed ecco che il futuro ritorna: ogni progetto ha bisogno di anticipare che cosa desidera che il suo prodotto o servizio faccia succedere nel mondo. Se manca questo, non c’è progetto, ma solo produzione.
L’anticipazione aiuta ad alzare lo sguardo pro-gettarlo (gettarlo in avanti) oltre il gantt, il to do e addirittura oltre le soluzioni primariamente ipotizzate e a riportarlo al suo scopo: l’effetto da generare, le possibilità da attualizzare e quelle da scartare, le forze in campo con cui fare i conti.
Il futuro desiderato e scelto tra i diversi possibili diventa così la guida del progetto, non solo ricordando una destinazione – e, si sa, nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa in quale porto dirigersi – ma anche orientando il processo di design e management attraverso le domande che suscita:
dove siamo oggi rispetto allo stato desiderato?
Cosa deve cambiare perché quello stato sia raggiungibile?
La soluzione che stiamo pensando è realmente capace di orientare nella giusta direzione?
Gli strumenti che stiamo adottando sono coerenti con la meta?
Generano delle esternalità che potrebbero nel lungo periodo compromettere gli esiti?
Il protagonista del progetto, allora, torna ad essere il sistema con il suo destino – e non più la costruzione di una soluzione, prodotto o servizio che sia: una rivoluzione che restituisce al progettare il suo senso e la sua capacità autenticamente generativa e che rende ogni professionista – mentre progetta o gestisce progetti – un visionario, un innovatore che sa prendersi la responsabilità e la gioia di co-creare il mondo che sarà.
Credits: The Orange cube – Lyon
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