
Se Itlodeo avesse una botteguccia…
di Anna Paola Lacatena (Sociologa c/o Dipartimento Dipendenze Patologiche ASL TA)
Se io avessi una botteguccia
fatta di una sola stanza
vorrei mettermi a vendere sai cosa?
La speranza.
(Se io avessi una botteguccia, Gianni Rodari)
“Utopia” è il titolo di un romanzo in latino pubblicato nel 1516 da Thomas Moore (in Italia noto come Tommaso Moro).
È lo stesso autore a coniare il neologismo, con la dichiarata intenzione di non superare l’ambiguità di fondo per la quale il termine può essere inteso come la latinizzazione dal greco sia di Εὐτοπεία sia di Οὐτοπεία, che congiungendo le due accezioni esita in un “l’ottimo luogo (non è) in alcun luogo”.
L’opera dell’umanista inglese descrive la vita di un’isola ideale (l’ottimo luogo), rimarcandone la sua inesistenza nella realtà (nessun luogo), girando intorno alla figura di Itlodeo (colui che racconta frottole).
Richiamando il numero delle contee inglesi (54), “Utopia” ha risolto conflitti e contrasti interni in ragione di un sistema organizzativo, allora come oggi, inusitato: la proprietà privata è abolita, i beni sono in comune, il commercio è inutile, le persone non dispongono di denaro né di oro e argento.
Se pur apparentemente sostenuti da buoni propositi e condivisibili convinzioni, nella storia abbiamo visto non pochi progetti utopistici degenerare in distopia e totalitarismi.
Sotto l’egida del Bene comune, del meglio per il popolo, dell’idea della purezza, della supremazia, accomodando le regole, riducendo i diritti, orientando il pensiero, spesso si è passati a fondamentalismi e fanatismi.
Nel romanzo The Handmaid’s Tale (1985) dell’ispiratissima scrittrice canadese Margaret Atwood si legge del progressivo processo di privazione di libertà, materiali e immateriali, a cui sono sottoposte le donne dell’utopistica Gilead dopo che il mondo viene colpito da un’epidemia che ha reso le donne sterili (probabilmente anche gli uomini).
Private di ogni libertà (espressione, lavoro, denaro, ecc.) le donne sono costrette a rinunciare anche alla possibilità di poter gestire il proprio corpo.
Le poche rimaste fertili, diventano, infatti, Ancelle (vere e proprie schiave sessuali) al servizio dell’oligarchia rigorosamente maschile dei Comandanti di Gilead.
Il tutto finalizzato al ripopolamento con mezzi e risultati agghiaccianti.
Utopia e distopia, due mondi opposti.
Uno auspicabile, l’altro spaventoso.
Il primo da intendersi come amplificazione del meglio possibile, il secondo come negazione delle libertà individuali, entrambi concepiti con l’auspicio di migliorare la condizione umana e sociale.
La tensione verso il futuro, la spinta utopica, il sogno, la speranza per qualcosa che non è ancora ma di cui siamo convinti si possa fare esperienza, ci aiuta a vivere dai tempi dell’Homo sapiens.
La costruzione di un’Europa unita e democratica sembrava essere la più pret a porter delle utopie moderne ma nella realtà la globalizzazione con il suo carico di disuguaglianze sociali, la crisi di rappresentanza politica, il post Covid-19, la mancanza di lavoro, la guerra in Ucraina con la conseguente crisi energetica e tanto altro, hanno minato il sogno degli Stati Uniti d’Europa.
Privatizzata dal liberismo, l’utopia non sembra più appartenere (pericolosamente) alla collettività.
Scarseggia la fiducia nelle istituzioni, le martellanti politiche sulla sicurezza hanno rinchiuso il cittadino nell’orticello delle questioni individuali.
Ė corto l’inspirato, asfittico l’espirato. Ė marginalizzata la dignità umana lì dove crescono muri e si pratica il respingimento.
Non il singolo ma la comunità senza discriminazioni può coltivare l’utopia di un’appartenenza inclusiva e non autoreferenziale.
Non basta sperare per pensare che qualcosa possa cambiare, soprattutto quando l’auspicio è che il cambiamento sia in meglio.
La speranza ha un costo ed è la voglia di mettersi in gioco, di rischiare, di ritrovarsi a fare i conti con la possibilità stessa del fallimento.
Siamo davvero disposti a rinunciare all’apparente solidità delle nostre certezze per attraversare la quasi mai confortevole via della frustrazione?
La rabbia dissociativa che accompagna il diffuso narcisismo, ci metterà definitivamente in fuga dal sogno?
Nella rabbia perdiamo la capacità di concettualizzare, di progettare, di incontrare il nuovo.
Di rabbia restiamo prigionieri del qui e ora che non è consapevolezza del presente ma alterazione cognitiva di tempo e spazio.
Fluidi e immobili, non ci restano che assuefazione al dolore (altrui) e capricci (personali) per “cose nuove e diverse” di calviniana narrativa.
Appare evidente anche alle menti meno vivaci e acute che per il sogno e ancor più per l’utopia ci vuole ben(e) altro.
E alla povera gente
che non ha da campare
darei tutta la mia speranza
senza fargliela pagare.
(Se io avessi una botteguccia, Gianni Rodari)
.
Credits: La missione Soyuz MS-22 ha raggiunto la Stazione Spaziale Internazionale
Di Anna Paola Lacatena, su Ora Legale News
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