
Un tesoro e un tranello
di Pietro Buscicchio (Psicologo e psicoterapeuta in Bari – Uomini in Gioco/Maschile plurale)
Fantasma della libertà, libertà dai fantasmi
“La famiglia occupa un posto ben definito nel luogo d’incontro tra il fanciullo in sviluppo e le forze che operano nella società”
(D.W.Winnicott)
Se l’aforisma di Ambrose Bierce sul matrimonio “Lo stato o condizione di una piccola comunità, costituita da un padrone, una padrona e due schiavi, in tutto due persone”, ci sconcerta, basterà riferirsi all’etimo di famiglia per ritrovare schiavi e padroni, quindi potere e dominio, quindi, proseguendo per libere associazioni, gabbie, controllo, coartazione.
Tutto ciò potrà far inorridire i tantissimi che ritengono la famiglia (l’idea di famiglia) il caposaldo, il nucleo inossidabile della nostra evoluta organizzazione sociale, ma, come forse direbbe il prof. Jung, anche il mulino ha la sua ombra, e non scompare (l’ombra), neanche quando il mulino è di un bianco abbagliante.
Del resto, se pensiamo al vero e proprio ossimoro sulla famiglia presente all’art. 29 della nostra Costituzione, che parla di “società naturale fondata sul matrimonio”, le vertigini aumentano.
Società (cioè eminente prodotto di una cultura) naturale (come se fosse lì dall’alba dei tempi e durerà quanto l’universo).
E tra ossimori e paradossi, si destreggiava Pasolini, quando ad esempio scrisse che la vittoria del no alla richiesta di abrogazione della legge sullo scioglimento del matrimonio (la parola divorzio era impronunciabile), non era la vittoria del laicismo, ma della subentrante ideologia consumistica.
Pasolini sapeva già tutto del mulino bianco.
Se oltre a sconcerto e vertigini, volessimo anche un po’ di agorafobia, ci basterà pensare all’ampiezza del campo semantico, dalla sacra famiglia alla famiglia mafiosa, dal familismo amorale alla famiglia custode dei valori più profondamente radicati.
Pensiamo, ad esempio, al radicale conflitto tra le posizioni di Lina Meruane e al suo biberon infiammato e quelle dei fautori della famiglia disegnata nella mente dei vescovi e degli adinolfi.
Il lettore capirà bene perciò che quando Anna Losurdo mi chiede se voglio scrivere sulla famiglia, io posso dire no; oppure attraversare sconcerti, vertigini, fobie e un po’ della mia storia, sperando che i tappi di cera non siano consumati, e cercare appigli e parziali approdi nella mia Itaca, la psicologia.
Qualche anno prima degli sputi su Hegel e delle critiche a Freud di Carla Lonzi, autori come Laing ed Esterson inforcarono lenti antipsichiatriche e osservarono donne diagnosticate come schizofreniche all’interno del sistema familiare, provando a dimostrare che la famigerata incomprensibilità della schizofrenia appariva molto meno incomprensibile se collocata all’interno di un funzionamento familiare, con i suoi irretimenti, aspettative, intrecci comunicativi, segreti, non detti, doppi legami.
Il potere di un sistema familiare, raccontato dall’interno da terapeuti geniali come Whitaker, è enorme sul piano sia sincronico, sia diacronico, sia in orizzontale, sia in verticale, nel bene e nel male, come evidenziano sia terapeuti che lavorano con il genogramma e con il concetto di trasmissione psichica transgenerazionale.
Su un registro diverso, artisti come Alejandro Jodorowsky (le cui recenti opere cinematografiche sono la riscrittura per immagini di una infanzia e adolescenza difficili, in una famiglia difficile) e scrittrici come Delphine De Vigan, che, dopo il suicidio della madre scrive “niente si oppone alla notte”, inabissandosi in una ricerca transgenerazionale, ritrovano frammenti di verità psicologiche tra il potere devastante della parola e quello del silenzio.
La famiglia, al contempo un tesoro ed un tranello; la ricerca dei nostri condizionamenti all’interno della storia psicogenealogica può aiutarci a trovare le tracce del nostro destino (che non è il fato), così come l’ignoranza di essi ci spinge alla cieca ripetizione, all’inconscia fedeltà a modi di essere, fare, sentire, che non corrispondono a quello che Winnicott chiamava il nostro vero-sé.
C’è qualcosa che non va nella famiglia, ma, forse, vale per la famiglia quel che vale per la democrazia: in panchina sembrano non esserci sostituti all’altezza.
Né si intravede qualche geniale stratega che offra nuovi e convincenti schemi a partita in corso.
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