
Una occasione perduta
di Luigi Amendola (Avvocato in Salerno)
Da tempo, oramai, si legge che l’Italia ha troppe leggi, molte delle quali scritte male.
Il dott. Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione in una recente intervista è arrivato a dire che “In Italia aggiungiamo alla iper regolamentazione anche una cattiva regolamentazione. Abbiamo troppe regole e troppe regole scritte male, spesso incomprensibili o in contraddizione”.
Lo stesso Presidente Cantone suggeriva, convinto, che la più grande riforma anticorruzione sarebbe la “creazione di una commissione di saggi per la semplificazione delle norme”.
Semplicemente. E’ proprio vero. Basterebbe poco a far funzionare il sistema. Ma forse non si vuole. E’ come se qualcuno ne volesse approfittare. E per vero, lo stesso Cantone afferma che “norme poco comprensibili facilitano la corruzione”. Perché rendono aperta la loro interpretazione.
Il problema è che, a volte, è come se si volesse creare davvero il problema innescando meccanismi inflattivi della Giurisdizione quando invece basterebbe coordinare norme esistenti per risolvere il problema a monte.
Emblematico, in tema, è il mancato coordinamento tra l’art. 182 ter l. fall. post novellam e l’art. 7 primo comma terzo periodo della legge 3/2012 al fine di ottenere una espressa previsione della falcidiabilità dell’IVA e delle ritenute operate e non versate.
Il nuovo Codice della Crisi di Impresa non l’ha risolto.
Come noto, invero, la disparità di trattamento tra le due discipline è stata rilevata dalla Giurisprudenza di merito che ha sostenuto che essa violi gli articoli 3 e 97 della Costituzione.
Il Tribunale di Udine, con la nota ordinanza del 14 maggio 2018, ha ritenuto di non procedere con la disapplicazione della norma, come fatto dalla maggioranza dei Tribunali, sollevando la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, primo comma, terzo periodo della legge. n. 3/2012, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., ovvero al parametro costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione.
E’ di tutta evidenza che non vi è motivo per il quale l’imprenditore sottosoglia rispetto ai parametri di cui all’art. 1 l. fall. o l’imprenditore agricolo o il professionista non possono accedere al pagamento falcidiato dell’I.V.A., quando tale possibilità è invece concessa all’imprenditore fallibile.
Ebbene, il Legislatore del C.C.I. non ha ripetuto il dettato dell’art. 7 della legge 3/2012, ma nemmeno ha previsto espressamente la possibilità di falcidiare l’I.V.A. e le ritenute non versate.
Invero, gli articoli 67 quarto comma C.C.I. “ristrutturazione dei debiti” (già piano del consumatore) e l’art. 75 secondo comma C.I.C. “concordato minore” (già accordo di ristrutturazione) prevedono la generale possibilità di falcidia del credito privilegiato per cui “è possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possano essere soddisfatti non integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti oggetto della causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi”.
Non vi è più una deroga per il trattamento dell’IVA e delle ritenute operate e non versate ma nemmeno vi è una espressa previsione della loro falcidiabilità
Alla luce dell’attuale panorama giurisprudenziale, non fare definitiva chiarezza sarebbe un’occasione persa con gravi riflessi sull’operatività della novella.
PH:Heather Plew da Pixabay
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