
Architettura della giustizia
di Carmen M. Piscitelli (Avvocata Centro Creativo Fondazione Avvocatura Italiana)
L’ Edilizia giudiziaria è un concetto informe e agglutinato.
Non c’è un filo conduttore o un principio ispiratore unitario nella sistemazione del patrimonio di Palazzi di Giustizia esistenti sul territorio nazionale o nella progettazione di nuovi edifici.
La carenza è, forse, assimilabile all’incuranza riservata alla riscrittura della geografia giudiziaria che in molti casi ha aggravato la situazione già esistente.
Pochi visionari credono che l’esame del tema (o se si preferisce del problema) possa essere una chiave di volta o una lente attraverso cui osservare il sistema giudiziario in Italia e contribuire a migliorarlo.
Eppure sin dalla notte dei tempi, il primo atto di giustizia in una comunità è stato sempre quello di definire un luogo circoscritto, adeguato alla sua attuazione.
Il Consiglio Nazionale Forense, in tempi non sospetti, metteva in cantiere il progetto AdG- Architettura della Giustizia in collaborazione con il Consiglio Nazionale degli Architetti, Paesaggisti e Pianificatori (CNAPP), presentato in anteprima al Congresso Nazionale Forense di Catania come evento collaterale, il 3.10.2018.
Prima dei tristi e dolorosi fatti di Bari, prima che l’immagine di un avvocato costretto a lavorare in un tendone diventasse denunzia e simbolo di una fallimentare tendenza al risparmio che inevitabilmente ha progressivamente svilito e svuotato anche una certa autorevolezza della immagine professionale.
Gli avvocati non sono stati mossi da un’esigenza dettata da una qualche forma di narcisismo ma dalla osservazione e previsione di una stringente necessità, relegata a problema secondario. Ma non per tutti.
La Commissione Europea per l’Efficacia della Giustizia (CEPEJ) sin dal 2014 ha istituito delle linee guida per l’ “accessibilità” ai Palazzi di Giustizia.
La Commissione ha ritenuto che i progetti di ristrutturazione o nuova costruzione degli edifici giudiziari devono garantire una prestazione di una giustizia di alta qualità e soddisfare le aspettative degli utenti.
I Tribunali dovrebbero essere edifici flessibili, di architettura ecosostenibile, ad alta efficienza energetica, per agevolare una giustizia di prossimità, adeguata anche alla la risoluzione dei conflitti.
Ed infatti, Palazzo di Giustizia, volendo scomodare la semantica, è una espressione polisemica.
In quanto tale, interessa e coinvolge nel suo significante più professionalità e più soggetti fruitori.
È uno spazio degli avvocati e per gli avvocati, così come lo è per i magistrati e i giudici, i cancellieri e per ultimi, ma non ultimi, i cittadini/assisiti che frequentano il Palazzo per vedere riconosciuto e tutelato un diritto, per difendersi, per adempiere al dovere di rendere testimonianza, per conciliare una lite o mediare o gestire una crisi o semplicemente per chiedere un certificato.
Se è vero (come confermano la secolare iconografia e la letteratura o come enucleabile dai nostri stessi codici di procedura) che la Giustizia si manifesta attraverso simboli e riti, l’attenzione che è stata dedicata alle immagini della Giustizia deve oggi spostarsi (o tornare) sul segno architettonico e sugli edifici che la funzione giudiziaria ospitano.
L’osservazione dei Palazzi di Giustizia esistenti in Italia e una loro prima catalogazione restituiscono la fotografia di un panorama variegato.
In alcuni casi non infrequenti, il genius loci della Giustizia ha continuato a permanere in antichi Palazzi già da tempo adibiti alla funzione giudiziaria, ammodernati e funzionalizzati assecondando esigenze emergenti.
In altri casi, edifici insufficienti e inefficienti sono stati mantenuti in vita con la promessa di una sede migliore, a volte arrivata con ritardo sul progetto iniziale e nei casi peggiori mai consegnata.
Altre volte, sono state ideate e realizzate nuove strutture secondo parametri maggiormente rispondenti alle esigenze attuali.
È auspicabile, quindi, la creazione di edifici architettonici in cui la struttura sia funzionale ai principi ispiratori di uguaglianza, trasparenza, efficienza e vicinanza al cittadino.
In rari casi, ho visto qualcuno allontanarsi da un edificio giudiziario con tranquillità o osservarlo come un monumento.
Una certa austerità e imponenza dei luoghi, come la visibile trasandatezza, rendono un Palazzo di Giustizia un luogo che non “comunica”.
Con l’effetto che il contatto con la Giustizia e i suoi operatori è negativamente imposto o subito, prescindendo dai motivi della frequentazione, tanto da consigliarne, per dir così, un rapido allontanamento.
In questo senso, è noto che Giustizia e bellezza sono state indissolubilmente interconnesse in epoca classica sino alla loro concettuale separazione in età moderna.
Il recupero del principio di una forma estetica che coniughi e declini positivamente il senso di Giustizia è il messaggio di cui l’avvocatura oggi intende farsi portavoce a livello istituzionale.
Essere avvocati oggi più che mai, non può prescindere dallo studio delle scienze sociali.
Questa attenzione costante deve essere un supporto ancillare per comprendere il mondo e per riempire le clausole generali che il nostro ordinamento ci fornisce per non perdere il contatto con il presente.
Un tale messaggio passa anche attraverso un progetto come Architettura della Giustizia, che è stato volutamente aperto anche alla cittadinanza e concepito con una pluralitá di vocazioni tematiche.
Coltivare il senso di civismo e legalità, la cultura e la promozione del territorio e del paesaggio in cui devono essere necessariamente inclusi i Palazzi di Giustizia e la funzionalizzazione di questi ultimi all’esercizio della attività giurisdizionale.
Tanto sotto il duplice aspetto di coadiuvare gli architetti che progetteranno i nuovi palazzi o adegueranno quelli esistenti indirizzandoli verso i principi ispiratori del sistema giudiziario e la nostra tradizione giuridica.
E con l’ausipicio di chiudere l’era in cui agli avvocati è assegnato un solo diritto di tribuna nell’ambito delle commissioni edilizie integrate presso le sedi di Corti d’ Appello deputate alla distribuzione degli spazi nei Palazzi di Giustizia.
Resta sul fondo, per noi avvocati, un interrogativo che vale per le altre categorie del comparto della Giustizia.
Un po’ come entrare attraverso una porta girevole e scambiarsi uno sguardo, apparentemente di sfuggita: come ci vedono gli altri?
Il lavoro culturale che passa attraverso il riconoscimento dell’ avvocato nella Costituzione, come tutore e mediatore dei diritti, può trovare una esplicazione nel contributo concreto che l’avvocatura può offrire alla catalogazione e alla indagine critica di un settore di importanza cruciale.
La sfida per la creazione di un Libro Bianco dei Palazzi di Giustizia in Italia, con il coinvolgimento degli Ordini locali, che tenga presenti le tradizioni, l’efficienza, la bellezza e possa essere un utile elemento ispiratore per la progettazione e il riuso dei Palazzi di Giustizia del prossimo futuro.
Ph. Carmen M. Piscitelli
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