La via per l'oblio

La via per l’oblio

di Leonardo Andriulo (Avvocato in Francavilla Fontana)

Il diritto all’oblio: cos’è e come si esercita

Sempre più spesso, negli ultimi tempi, in studio ci occupiamo del diritto all’oblio e della reputazione digitale (virtuale o on-line) dei nostri clienti. Questi ultimi risultano essere di diversa estrazione sociale e diverso livello culturale. Si va dall’imprenditore al professore. Dal politico al funzionario statale. Dal calciatore al costruttore di mega yatch.
Insomma, tutti! E tutti legati da una specifica necessità: quella di voler eliminare le informazioni dalla rete. Questo è quello che ci accompagna in questa attività. Il garantire, ove ve ne siano i presupposti, il risultato di ritornare ad essere degli sconosciuti su internet.

È noto, quindi, che ogni diritto previsto a livello normativo è presidio di tutela per fatti riguardanti tutti noi che viviamo oggigiorno. Ma cosa succede quando venivamo colpiti dall’altrui considerazione negativa? C’è possibilità di rimedio? Il primo effetto è quello di una immediata perdita di credibilità sociale.

Le situazioni più comuni che abbiamo affrontato hanno riguardato il ritorno nella vita di un nostro cliente di fatti di cronaca, appartenenti oramai ad un passato lontano che non gli hanno consentito di trovare un nuovo lavoro. Oppure notizie diffamanti scritte ad arte dal concorrente di turno per screditare la controparte. O ancora, un caso che ci ha appassionato durante le ultime elezioni politiche, quello di togliere argomenti agli avversari su fatti personali (amorosi) di un candidato politico. Situazioni tutte che non sono state facili da gestire e che hanno richiesto un lavoro certosino.

Definizione di diritto all’oblio. The right to be forgotten

Ma cos’è quindi il diritto all’oblio? Non si vuole tediare il lettore utilizzando termini difficili ma, piuttosto, se voglio usare parole semplici e comprensibili per definire uno dei diritti più in voga al momento. Senza tralasciare il richiamo della norma che consente di dare forma e dimensione di quali siano ad oggi le tutele previste dalle regole europee in materia, per diritto all’oblio si intende, traducendo la frase dall’inglese, “il diritto ad essere dimenticati“. Principio per dirla tutta coniato dagli americani perché per primi si sono occupati di questa materia.

Ognuno di noi, in pratica, può decidere autonomamente ed in qualsiasi momento della propria vita di chiedere (ed ottenere) la rimozione delle informazioni (tutte!) che sono presenti in internet.

Informazioni che possono essere lesive della propria reputazione o meno. Per completezza, per informazione si intende una notizia (articolo di giornale). Così come per informazione si possono intendere dei dati, ad esempio la propria fede religiosa. O, ancora, per dato può anche intendersi un video, una fotografia.

Quando può esercitarsi il diritto all’oblio?

L’articolo, lungi dal voler essere una esaustiva guida completa sulla materia vuole offrire degli spunti su una problematica che, per evidenza, diventa sempre più pregnante nella vita di tutti. Specie nella vita di chi è al centro potenzialmente di attenzione mediatica virtuale. Si immagini ad un potenziale cliente che legge le recensioni (negative) di un prodotto. O alla preliminare verifica di un cliente delle recensioni (sempre negative) di una struttura alberghiera quando deve prenotare una camera. O ancora a commenti negativi in posts su facebook.

Insomma, il diritto all’oblio lo si esercita, o lo si può esercitare, tutte le volte che dalla informazione derivi nocumento (leggasi danno) economico e sociale!

Converrà, quindi, il lettore che la reputazione digitale oramai è cosa (socialmente/virtualmente) seria! Molto seria. Per tutti quelli che hanno un account sulle piattaforme come facebook, instagram, youtube, o sono stati citati in degli articoli di giornali on line o altrove, la vita diventa (virtualmente) pericolosa.

È facile diventare vittima del sistema virtuale specie, poi, qualcuno mette on line le cosidette Fake news.

Le notizie, specie quelle negative, viaggiano veloci. I giornali on line si sono attrezzati con plugin che costantemente tengono aggiornati i lettori. Praticamente real time. E si sa anche che le persone curiose, appresa una notizia (negativa), vogliono saperne di più ed iniziano gli approfondimenti sui motori di ricerca.

Dopo pochi secondi, quasi sempre, si arriva (qualora fossero stati attivati i profili social) ad avere l’immagine della persona che è indagata o che ha mosso, in maniera negativa, la coscienza sociale.

È in questo momento, quindi, che ci si può attivare ed esercitare il proprio diritto all’oblio. Quando cioè l’informazione diventa gogna mediatica. Quando il video, virale per usare una espressione tipica, infanga l’onore della persona che viene ripresa. Quando la foto è particolarmente privata che ritrae un momento intimo e/o familiare. Quando la recensione non è veritiera.

In fondo, anche se la vita scorre attraverso un cellulare, un pc o un tablet sappiamo tutti che dietro gli schermi e le tastiere ci sono persone in carne ed ossa. E soprattutto che l’opinione che gli altri hanno di noi ha dei risvolti importanti nella vita reale. Internet ed il mondo virtuale è solo uno strumento che crea una realtà parallela che vive in osmosi con la “realtà fisica”.
Ecco quindi che quelle norme di tutela di cui sopra intervengono per cancellare quello che non è più in linea con i principi dettati dal legislatore a tutela della persona e della sua onorabilità.

L’oblio secondo il garante della privacy.

Passando ora al tecnicismo, senza spaventare chi non è pratico di “legalese”, si richiama la norma fondamentale che permette di poter esercitare il proprio diritto all’oblio.

Andando a sbirciare, quindi, quanto pubblicato sul sito del garante della privacy italiana, si legge che secondo “Il diritto cosiddetto “all’oblio” (art. 17 del Regolamento) si configura come un diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata. Si prevede, infatti, l’obbligo per i titolari (se hanno “reso pubblici” i dati personali dell’interessato: ad esempio, pubblicandoli su un sito web) di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati personali cancellati, compresi “qualsiasi link, copia o riproduzione” (si veda art. 17, paragrafo 2 del Regolamento).

È sempre possibile cancellare i propri dati da internet?

In linea generale dobbiamo dire che la risposta è: SI! Anche quando si è prestato il consenso è (quasi) sempre possibile cancellare i propri dati da internet. Le eccezioni, con le dovute precisazioni sono strettamente legate a determinate circostanze.
Per sintetizzare il limite è quello del bilanciamento tra i seguenti diritti.

il diritto alla cronaca (è incluso tra le libertà di manifestazione del pensiero e si traduce nel diritto a pubblicare tutto ciò che è collegato a fatti e avvenimenti di interesse pubblico)
il diritto di rievocazione storica (ossia il diritto a riproporre vicende o situazioni del passato)
il diritto alla riservatezza (ossia alla tutela delle informazioni riguardanti la sfera personale).

Chiaramente fra tutti quelli menzionati, è con il diritto alla cronaca, ovvero con il diritto di informare ed essere informati, che il diritto all’oblio si scontra in maniera più tangibile.

Si immagini una indagine penale cruenta e di particolare rilievo sociale, magari con arresti e misure cautelari. Ultimamente ci sono state vicende che hanno interessato la coscienza degli italiani. Spesso le testate giornalistiche sono restie a cancellare le notizie, specie quelle di cronaca. Qualcuno di loro parla addirittura di censura. Ciò non è vero perché se è vero come è vero che la informazione del fatto è diritto di cronaca c’è sempre la possibilità di trovare l’equilibro con quello dell’oblio.

Tutte le volte che a seguito di nostra l’articolo venga deindicizzato ed archiviato – garantendosi così il giornale la permanenza dell’articolo nel proprio database – si è ottenuta l’eliminazione dei nomi dei clienti con la sostituzione delle sole lettere iniziali del nome e del cognome.

Un lungo discorso dovrebbe poi farsi sui motori di ricerca, sugli snippet e sui tag. Ci limitiamo a dire che di solito le testate giornalistiche nel sistema che gestisce gli articoli fa in modo che i motori di ricerca non procedano nuovamente ad indicizzare l’articolo.

Per quanto tempo un’informazione lesiva dell’immagine, della reputazione e della riservatezza può permanere nel mondo digitale?

Prima i giornali si sa, duravano un giorno. Oggi il mondo del web conserva le informazioni per sempre. A meno che non ci si attivi per farle cancellare. Al fine di trovare una definitiva risposta al problema posto (in termini legali) ci ha pensato la Corte di Giustizia che testualmente afferma: ”… il diritto alla protezione dei dati personali non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua FUNZIONE SOCIALE e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità”.

In parole povere, l’informazione “incriminata” del nostro passato che dopo tempo circola ancora su internet ed il relativo diritto a non essere più ricordati per quel dato fatto scatta solo nel caso in cui l’informazione non sia più attuale o pertinente al contesto storico oppure quando sia venuto meno l’originario interesse pubblico.

Dal dire al fare

Nella nostra esperienza abbiamo avuto un caso dove nel giro di un paio di mesi una notizia di cronaca è stata eliminata. La particolarità sta nel fatto che il processo penale in cui era coinvolto un nostro assistito non era terminato. Di rilievo era, però, il fatto che la fase processuale a cui era giunto il processo era diversa rispetto a quella a cui faceva riferimento l’articolo. Abbiamo così intimato legalmente ed ottenuto nel giro di poche settimane la cancellazione e deindicizzazione dai motori di ricerca delle notizie.

Un caso risolto dalla Cassazione.

Prendendo spunto da una recente sentenza emessa dalla Corte di Cassazione nel luglio 2019: Tizio citava in giudizio alcune testate giornalistiche chiedendo il risarcimento dei danni da diffamazione per aver riportato sui loro quotidiani la notizia dell’omicidio che aveva perpetrato in danno della propria moglie e per il quale aveva espiato 12 anni di reclusione, sottoponendolo ad una nuova gogna mediatica.

Come si sono conclusi i primi due giudizi?

Sia il primo che il secondo grado di giudizio negavano a Tizio il diritto all’oblio, non rinvenendo i Giudici alcuna illiceità nella rievocazione di tale avvenimento. Tra i fatti che più avevano turbato la collettività negli ultimi quarant’anni da parte dei giornali.

Cosa ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione?

La Corte di Cassazione, contrariamente, ha riconosciuto a Tizio il diritto all’oblio alla luce dell’assenza di quell’interesse collettivo che si richiede al fine di sacrificare il diritto alla riservatezza dell’individuo interessato.

Infatti, l’esplicita menzione del nominativo può essere giustificata solo nei casi in cui le notizie si riferiscono in quel dato momento. Inoltre, i personaggi devono interessare la collettività PER RAGIONI DI NOTORIETA’ O PER IL RUOLO PUBBLICO CHE RIVESTONO.
In assenza di questi requisiti, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza. È consentita la relativa cancellazione dal web di tutte quelle informazioni del passato lesive della dignità e dell’onore.

Chi può realmente aiutare ad esercitare il diritto all’oblio?

Sicuramente un avvocato esperto di diritto dell’informatica e più in particolare del diritto alla privacy, riteniamo sia la figura professionale che può aiutare a recuperare quella reputazione (virtuale) persa.

L’attività di chi si occupa di dare reale attuazione al diritto all’oblio è molto delicata e complessa. Sono richieste capacità tecniche giuridiche ed informatiche. Alla base bisogna capire come la notizia sia stata pubblicata, indicizzata dai motori di ricerca e gestita dalle testate giornalistiche.
Una attività a tutto tondo che deve prendere in considerazione le dinamiche dei i siti, dei blogger, dei social network e altre piattaforme di contenuti multimediali (audio, video).

Il suggerimento è di non fare da soli, anche se i motori di ricerca mettono a disposizione dei moduli per la richiesta di deindicizzazione. Il rischio è che la eliminazione sia solo momentanea. Infatti, se non si interviene sulla fonte (siti web, blog, piattaforme video etc. etc.) i motori potrebbero riprendere la stessa notizia.

Image credit: https://image.arrivalguides.com

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