
Enea, il diritto fondamentale e l’universalità del migrare
di Massimo Corrado Di Florio
L’impianto principale dei diritti fondamentali, a ben vedere, è paradossale.
Se da un lato nessuno e, in questo nessuno va ricompreso lo Stato, può limitare o disporre dei diritti universali appartenenti all’individuo, va anche detto che allo stesso titolare del diritto fondamentale è negata la facoltà di disporre del proprio diritto.
Essì, trattasi di indisponibilità assoluta. Ergo, nessuno può alienare o espropriare un diritto che, per sua stessa natura è universalmente riconosciuto quale, ad esempio, il diritto alla vita, o alla libertà personale, o alla salute.
Sono diritti indisponibili, assoluti. Se così non fosse essi sarebbero semplici diritti disponibili e, per taluni, degradati al rango di diritti meramente patrimoniali.
Come la mettiamo, allora, col diritto di libertà che, nella sua massima espansione, non può che prevedere e concepire anche il diritto di alienare la propria libertà?
È assai verosimile che, per sfuggire ad una sorta di visione risolutiva e paternalistica del problema, occorrerebbe ammettere, in via astratta e ipotetica, la possibilità della piena disponibilità, in capo al titolare del diritto stesso, della libertà di disporne come meglio crede. Un bel guaio. Paradossale ma sempre guaio è.
Insomma, nessuno tocchi i miei diritti. E nessuno tocchi me se decido di toccare un mio diritto. Ma qualcuno, però, mi impedisca di alienare un (mio) diritto fondamentale. Siamo davvero al paradosso. Tuttavia, curiamo di non dirlo a chi si arroga il diritto di indirizzare i diritti degli altri (badando troppo ai propri).
Al di là del paradosso, e per circoscrivere il più possibile la questione, cominciamo col dire che l’essere uguali nella nostra comune e universale umanità è espressione del diritto fondamentale/universale di uguaglianza. Nella sua massima estensione.
Fa letteralmente ribrezzo leggere frasi del tipo “Ammazza al negar”, cioè ammazza il negro.
“E’ questa la scritta minacciosa, seguita da una svastica, apparsa sul muro di casa di una coppia che ha adottato un ragazzo africano, a Melegnano, nel Milanese” (ANSA.it – Lombardi).
Lasciamo pertanto l’interessante diatriba sul paradosso dei diritti fondamentali e concentriamoci sulle nostre misere cose di casa lesive, anch’esse, senza se e senza ma, della libertà fondamentale di essere semplicemente esseri umani.
Poi, magari, col tempo, ci accorgeremo un po’ tutti quanti che sotto questa pelle siamo perfettamente identici gli uni agli altri.
Non riesco a scorgere un senso diverso dalle parole adoperate dai Padri Costituenti (cfr. art. 2 Cost.), ovvero da quelle contenute nella
DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO DEL 26 AGOSTO 1789 (art. 1 “Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti…”).
Ci capita di avere paura nei riguardi di chi proviene da territori diversi da quelli in cui siamo nati e cresciuti.
La paura del diverso è però nemica della cultura. È un fuggire continuo da qualunque genere di confronto.
La xenofobia annienta la crescita.
Provo a immaginare la vita di un eroe/antieroe come Enea dopo la caduta di Troia se non avesse deciso di migrare verso occidente e fermarsi nella penisola italica.
In disparte la mancata conoscenza con Didone (una delle più note sedotte e abbandonate della storia), cos’altro avrebbe mai potuto fare se non girare in tondo nella pur vasta penisola Anatolica?
Nessun viaggio avventuroso, nessuna conoscenza con altre civiltà (Rutuli compresi), nessuna stirpe romana e, a voler credere al poema di Virgilio, nessun noi.
Fine della nostra storia, prima di qualunque suo inizio. Nessun Noi, nessuno di noi.
Volgendo lo sguardo ancora più verso l’occidente oggi conosciuto, muovendo da un Enea pigramente intento a coltivar frumento in Anatolia, nessuna America (eccezion fatta per i suoi nativi, peraltro provenienti da un altro oriente) e nessun odierno omaccione alto e grasso con martora bionda sulla testa.
Chi mai dirà al signor Donald Trump che Enea non era biondo e non aveva gli occhi azzurri? Piuttosto scuretto, direi.
E purtuttavia, uguale a tutti gli altri senza nemmeno sapere di possedere un diritto fondamentale e universale.
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