
Uomini
di Eduardo Savarese (Magistrato in Napoli e scrittore)
La riscoperta delle virtù: il coraggio
In questi giorni di arresto forzato (per chi può e, allo stato, io posso e devo) nella propria casa, gli spazi e i tempi di silenzio in compagnia di se stessi sono molti, addirittura troppi. Intorno, si leva un grandissimo rumore: le comunicazioni sui social elevate all’ennesima potenza, il bombardamento informatico (spesso inappropriato, lacunoso, confusionario), la moltiplicazione di iniziative comunicative a tutti i costi (chi non si vedeva e sentiva da mesi, da anni, sente l’urgenza indomabile di avviare chiassose e innumerevoli videochat).
In questo frastuono, che rende spesso difficile la concentrazione, la focalizzazione, la lucida visione di quanto sta accadendo, e in questo dolore per le tante vite perdute (nella solitudine, se non nell’abbandono), ho pensato alle “virtutes”, alle virtù.
Termine e concetto forse caduti in desuetudine: delle virtù morali e teologali sono tappezzati i soffitti delle dimore storiche di tutta Europa, e, quando eravamo turisti, le osservavamo con il distacco un po’ curioso e forse cinico di chi guarda un fossile. Ma, come i fossili, le virtù hanno molto da dire. Proprio oggi, più che mai.
Mi sono soprattutto soffermato a pensare alla virtù del coraggio. Che ha a che fare col cuore, nel senso vasto dell’intera personalità, dell’intera vita di donne e uomini.
Siamo uomini coraggiosi? Ma cosa significa, in questo frangente, essere coraggiosi?
La prima notazione, intorno al coraggio, è che di fronte alla morte ci stiamo scoprendo totalmente privi di coraggio. E non intendo svilire il senso naturale e sano che ci porta a difendere la nostra vita, e quella di chi amiamo, e anche quella di una collettività più vasta, se non dell’umanità nel suo insieme. La vita va difesa, i governi devono difenderla: il diritto alla vita è il centro delle dichiarazioni dei diritti e delle costituzioni che hanno a cuore la persona umana.
Mi riferisco invece alla dimostrazione perfetta, che si sta consumando in queste drammatiche settimane, che gli uomini del XXI secolo, certamente quelli occidentali e italiani, hanno disperso totalmente una vera, profonda cultura della morte. Essi sono schiacciati, terrorizzati, angosciati oltre ogni misura, vivono la morte come una sventura mostruosa cui sono inchiodati da un momento all’altro, come topi avvelenati da un padrone di casa spietato.
Questa paura mette a nudo ogni nostra fragilità, ogni nostra malattia fisica e spirituale, individuale e collettiva, e la paura si presta a costituire il terreno più fertile per l’esercizio di dispositivi di potere che, in nome della sicurezza (cosa c’è di più sicuro che preservare la vita?), contengono la vita, le libertà, l’espressione relazionale di ciò che siamo. E, si badi, non mi riferisco solo al potere politico, ma alle strategie di potere che noi attuiamo su noi stessi, nelle nostre case e famiglie, nelle nostre relazioni.
Occorre recuperare la virtù del coraggio di guardare bene, in queste settimane di silenzio, solitudine e inamovibilità, dentro noi stessi, le nostre relazioni, il nostro rapporto col potere pubblico e privato, ivi compreso quello con Dio (per chi ci crede); il coraggio di osservare la morte, di onorare i morti; il coraggio di chiedersi sempre “perché sta accadendo?”, “perché in questo modo?”. La paura mette a tacere tutto questo e ci immette in una gabbia in cui stiamo lì a ringhiare soltanto una frase, ossessivamente abbaiata: “devo vivere, devo vivere, devo vivere”. Forse, sopravvivere…
Alla virtù del coraggio deve accoppiarsi, quanto meno, quella della prudenza: uomini prudenti nel coraggio, o coraggiosi nella prudenza. Entrambe queste virtù sono un viatico per affrontare il presente, stare con i piedi nella realtà, caricarsi veramente del compito di curare noi stessi e gli altri.
I giuristi, poi, potranno meditare a lungo su quanto coraggio ci sia rimasto di dire le cose col proprio nome, di segnalare le ingiustizie, di riparare i danni, di ascoltare le dinamiche dei conflitti, di sorvegliare il potere, in tutte le sue manifestazioni, tanto più subdole quanto più invocate dallo spirito generale di paura.
Sì, restiamo a casa, rispettiamo ogni prescrizione, ma manteniamo lo sguardo alto verso l’orizzonte. E per non abbassare lo sguardo, ci vuole, sempre, coraggio.
Image credit: Gerd Altmann da Pixabay
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