
Francesco Carrara tra Illuminismo e Post-modernità
Di Giorgio Pica (Presidente del Tribunale di Matera)
La crescente attenzione che circonda Francesco Carrara trova radici non soltanto nella levatura morale della persona ovvero nella rilevanza storica della sua opera, ma soprattutto nella incredibile attualità del suo pensiero, nonostante la distanza temporale e le trasformazioni sociali e culturali che ci separano dalla sua epoca.
Carrara nasce nel 1805, in piena dominazione e codificazione napoleonica, e la sua vita si snoda attraverso la restaurazione delle monarchie europee abbattute dalla tempesta francese, e dei relativi sistemi di potere, attraverso i moti rivoluzionari italiani ed il progressivo ma diseguale recepimento da parte dei vari Stati italiani delle istanze illuministiche, attraverso le guerre d’indipendenza e la faticosa riunificazione italiana, con il riassestamento dei rapporti fra il nascente Stato unitario e gli altri Stati europei, sino ad essere, quale senatore del Regno, fra gli artefici dell’abolizione della pena di morte nel Codice penale dell’Italia unita, pena contro la quale si era sempre strenuamente battuto, e che, eliminata dal Codice toscano del 1853 dopo alterne vicende, aveva temuto alla luce dei forti contrasti politici esistenti di vedere reintrodotta attraverso l’unificazione normativa nazionale (essendo contemplata dal Codice penale del Regno d’Italia pubblicato da Rattazzi nel 1859).
Si affaccia nel mondo giuridico, e soprattutto nell’agone forense,(dove si impegnerà per molti anni senza alcuna produzione scientifica, iniziando questa solo con gli anni della maturità epperò beneficiandosi dell’esperienza frattanto accumulata), in un’epoca in cui, come egli stesso sottolinea nella famosa commemorazione di Giuseppe Puccioni, la Scienza penale, «che non vanta una vetustà che la faccia risalire a remotissimi tempi», è ancora priva di una acclarata dignità scientifica, essendo stata per lungo tempo «confusa da prima insieme con ogni altra dottrina giuridica nel generale concetto della filosofia» e che comunque «quando da questa si staccò lo studio del diritto rimase per altra lunga stagione compenetrata nel medesimo»; per cui «non è dunque meraviglia se nel primo risorgimento delle scienze in Europa, quando così alacremente si aprirono quei grandi centri d’insegnamento destinati ad educare i giovani alla dottrina giuridica, onde poscia nacque questo nobilissimo ceto dei giuristi che tanto influsso venne poi esercitando sul progresso civile, sugli ordini politici, e sui costumi dei popoli; non è meraviglia io dico che nelle università per lunga stagione mancasse una Cattedra apposita destinata ad erudire la gioventù nella teoria del delitto e della pena».
PH.: Augusto Passaglia, Ritratto del giurista Francesco Carrara, tratto da Catalogo Fondazione Zeri
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