
Vicini e lontani
di Anna Losurdo
Tu e me.
Voi e me.
Voi, tu, io.
Di quali uomini parlare, parlando di uomini?
Di quelli che abitano la mia vita, per cominciare.
Mio padre, che mi ha cresciuta a gentilezza, cultura e rispetto. Che mi prendeva in braccio, da piccola, facendomi sentire invincibile.
E mio fratello, minore, che non c’è ma quando serve diventa un fratellone.
Del compagno della mia vita, che guardo con amore e stima profondissimi.
Dei miei nipoti: il giovane adulto che transita ormai autonomo nel suo percorso universitario; i ragazzetti ai quali continuiamo a fornire gli strumenti culturali e le emozioni affinché sappiano costruirsi persone belle.
E poi dei miei amici. Quelli dei grandi discorsi sui banchi di scuola; quelli che hanno abbandonato il mio quotidiano e con i quali ci si frequenta in una dimensione intima e altra. E tutti gli altri. Quelli delle lunghe chiacchierate ai tavolini di un caffè, o su una panchina davanti al mare, o durante passeggiate senza meta. Quelli degli scontri e quelli della pace. Quelli delle tacite intese. Quelli irrimediabilmente perduti.
Quasi tutti indulgenti con i miei difetti tanto quanto me con i loro.
Ma ci sono anche gli altri. Quelli che guardo da lontano. Che incontro o osservo per formazione, per inclinazione e per professione.
Uomini nei quali so riconoscere e decodificare le avvisaglie di una violenza potenziale e negata ove non misconosciuta.
Alcuni capaci di disvelare emozioni profonde e fragilità nascoste. Altri capaci di impareggiabile complicità. Altri ancora ripiegati su se stessi fino al punto di non riconoscersi più.
Solo in minima parte in grado di fare su se stessi il medesimo lavoro fatto dalle donne, dalla nascita del movimento femminista in poi.
Quelli incapaci di riconoscere le donne nel loro valore intrinseco, afflitti dalla sindrome di Pigmalione ovvero dal timore di non reggere il confronto con “una non di loro“. Oppure gli artefici della sistematica svalutazione della donna che hanno accanto nella vita o nel lavoro. O ancora quelli ai quali gli sterotipi interiorizzati impediscono ogni forma di rapporto paritario con le donne.
Le generalizzazioni servono a poco e neanche mi piacciono. Parlare degli uomini come categoria è un po’ come dire “voi donne“, è negare la specialità dei singoli, la individualità di ciascuno: sparisce la persona che scolora nel gruppo.
È indiscutibile che millenni di civiltà (due, tre, di più; da quando vogliamo iniziare a contarli?) abbiano inciso in maniera profonda sul DNA umano e su quello maschile in particolare. Davvero è impensabile che, nonostante l’accelerazione della storia e il progresso civile e sociale del ‘900, noi altra componente della razza umana si possa riequilibrare il sistema in poco tempo.
Un secolo contro millenni? Come possiamo crederci davvero?
Basta guardarsi intorno. Il potere nel mondo è gestito dagli uomini. Tutti i poteri sono nelle loro mani. Tutte le forme di potere sono connotate dallo stesso imprinting delle società antiche: sopraffazione, violenza, scaltrezza, ambizione, conflitto, accumulazione, profitto.
E le donne non riescono se non in minima parte a incidere sul cambiamento, perchè largamente contagiate da quelle stesse caratteristiche e spesso incapaci di marcare con la differenza di genere ciò che fanno. Non è sufficiente essere una donna per imprimere una direzione diversa a qualsiasi forma di governance se non si è capaci di tradurre quella differenza nell’agire e negli obiettivi da perseguire.
E allora se davvero la nostra società è giunta al punto di non ritorno, come drammaticamente sta emergendo in questo tempo, dovremo tutti insieme, donne e uomini, avere grande coraggio. Il coraggio di abbandonare i modelli sin qui applicati e di inventare un mondo migliore, che sappia coniugare benessere e progresso, solidarietà e ricchezza, salute e diritti.
Per tutte e per tutti. E non solo per una parte della umanità.
Image credit: Zoë van Dijk
www.youparti.com
Della stessa autrice, su Ora Legale News:
https://www.oralegalenews.it/copertina/fearless-girls/3896/2019/
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