
Diversi e uguali in stato di inclusione
di Anna Paola Lacatena (Sociologa c/o Dipartimento Dipendenze Patologiche ASL TA)
Gli uomini non abbandono la terra d’origine senza che vi siano necessità impellenti, comprovate peraltro dalla modalità stessa del mettersi in fuga.
Esiste un diritto all’immigrazione?
Quanti nel corso del tempo hanno intrapreso questa strada sono stati mossi in genere dall’esigenza di trovare lavoro e, dunque, migliori condizioni di vita o dall’urgenza di fuggire dalla guerra, dalle persecuzioni politiche ed etniche.
L’Occidente tradisce memoria corta o malafede quando elude il necessario riferimento storico al fenomeno della colonizzazione.
Si ripete quando misconosce che tra il 1800 e la metà del 1900 gli europei sono stati protagonisti di quasi l’80% di tutti i movimenti intercontinentali di emigrazione, apportando così miglioramenti economici ai Paesi di origine. Basti dire che gli Stati Uniti d’America al momento dell’Indipendenza (1776) contavano 3 milioni di coloni in ragione dei flussi migratori del 1819, per arrivare nel 1900 a 48 milioni di persone di cui 36 milioni di immigrati dall’Europa.
Dai censimenti del 1910, 1920 e 1930 il numero di italiani a New York (di prima e seconda generazione) supera quello degli abitanti di Roma. Tra il 1900 e il 1940 gli irlandesi della Grande Mela sono più numerosi degli abitanti di Dublino.
E se quel diritto non può dirsi giuridico, almeno è possibile prevederlo sul piano dell’opportunità economica?
Se il passato ci obbliga moralmente a praticare una politica dell’immigrazione che si concretizzi in una società aperta allo straniero, pur nella misura dettata dalla capacità di cui ogni Paese dispone, il bisogno di futuro ce lo impone a causa del calo demografico e dell’urgenza di forza-lavoro per alcuni settori economici.
Il mondo ricco e tecnologizzato dovrebbe prendere atto del bisogno degli esclusi e delle loro grandi potenzialità – ad oggi solo frontiera dello sfruttamento – come terreno dell’integrazione nel rispetto delle differenze, che nel corso del tempo si sono sviluppate e che oggi più che mai dovrebbero trovare ospitalità, percorrendo la via della solidarietà e del realismo, pena il dover fare i conti con un decesso imminente.
E se quel diritto non può dirsi giuridico ed economico, almeno è possibile prevederlo sul piano morale?
È proprio il Vecchio continente a serbare in sé la vera opportunità di uscire dalla crisi globale, vincendo la paura dell’altro, dello straniero, dismettendo l’impropria ricerca di colpevoli esterni al proprio stato di insicurezza.
Sebbene più di qualcosa a tal proposito sia stato fatto, è necessario ora il passo successivo, ossia non una piena e reciproca assimilazione che preveda un up e un down culturale ma una coesistenza capace di rimarcare le differenze da leggersi non come disuguaglianze ma come ricchezza della diversità.
Non un pensiero comune per un consenso di tutti ma il diritto ad essere chi siamo, ciascuno nella propria autenticità. Essere uguali perché diversi, frutti da cogliere domani non diversi dai semi impiantati oggi.
Da qui la proposta di strategie legislative, culturali e normative che possano permettere una normalizzazione delle immigrazioni regolari in Italia con l’acquisizione piena dei diritti civili di chi abita, oramai da tempo, in Italia, pur non essendo qui nato ma here to stay (qui per rimanere).
Non sembra più rimandabile ad esempio, la corresponsabilità di un garante che permetta di estendere il permesso di ingresso a un tempo determinato, dimostrando un’occupazione regolare e un alloggio stabile, la normalizzazione dell’acquisizione della piena cittadinanza in tempi non biblici, a chi vive e lavora regolarmente in Italia e la rivalutazione della nuova proposta di concessione della cittadinanza ai minori, basata su un sistema misto di ius loci e ius scholae.
È tempo di riconoscere la dinamica migratoria come ineludibile per andare verso una regolarizzazione delle presenze, avviando un processo di riconoscimento dell’altro che contrasterebbe forme di etnicizzazione e misconoscimento che non possono che alimentare odio e razzismo dai quali nessuno può dirsi immune.
Così come nessuno può dirsi diverso, nella sua accezione più nobile e meno screditante, senza una base comune di diritti umani.
Con buona probabilità sarà proprio l’immigrato a salvare il nostro welfare, gran parte delle nostre economie, offrendoci l’imperdibile opportunità di contenere il dilagare mortifero dell’occidentale e opulento troppo IO…
A dirla tutta, non sarebbe nemmeno la prima volta nella storia del genere umano.
Image credit: InspiredImages da Pixabay
di Anna Paola Lacatena, su Ora Legale News
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