
L’Europa e le sfide della democrazia
di Angelo Schillaci (Professore Associato di Diritto pubblico comparato, Università di Roma “Sapienza”)
Con una recente decisione, il Parlamento ungherese ha conferito al Governo il potere di adottare, senza limiti di tempo, tutti i provvedimenti che ritenga necessari per fare fronte all’emergenza sanitaria.
La vicenda ungherese consente di tracciare una linea netta tra la gestione dell’emergenza secondo moduli coerenti con i principi e gli strumenti delle democrazie costituzionali e ciò che si pone – inequivocabilmente – al di fuori di quel perimetro; e di chiarire ruolo e posizione dell’Unione europea al riguardo.
La necessità di concentrare nel governo i cd. poteri di emergenza non è nuova nella storia del costituzionalismo e si traduce, negli stati membri dell’Unione europea, in una pluralità di modelli: dalla disciplina espressa di forme, tempi e modi di attribuzione di tali poteri già in Costituzione (come avviene, ad esempio, nella Costituzione francese e in quella spagnola), alla previsione di strumenti tipici che – genericamente dettati per far fronte a “casi straordinari di necessità e d’urgenza” (per usare la forma dell’articolo 77, comma 2, della Costituzione italiana) – ben possono essere utilizzati in occasione di emergenze come quella in corso.
D’altro canto, proprio il carattere eccezionale di simili istituti impone una altrettanto eccezionale attenzione al profilo delle garanzie, al fine di prevenire abusi da parte del potere esecutivo.
Si tratta, in altri termini, di tenere assieme l’esigenza di far fronte a situazioni d’emergenza in modo rapido ed efficace e la necessità di non sottoporre le istituzioni democratiche a stress eccessivi, e i diritti dei cittadini a restrizioni ingiustificate: in una parola, di salvaguardare un ragionevole equilibrio tra libertà e sicurezza.
Ciò avviene secondo alcune coordinate di fondo, che possono essere così sintetizzate: a) tipizzazione (almeno tendenziale) dei presupposti (si veda, ad esempio, l’articolo 116 della Costituzione spagnola); b) previsione di adeguati congegni di autorizzazione (e/o ratifica) e controllo parlamentare sull’operato del governo (e non solo: si pensi al coinvolgimento, anche solo consultivo, degli organi di giustizia costituzionale, come avviene ad esempio secondo l’articolo 16 della Costituzione francese); c) chiara indicazione dei limiti temporali entro i quali può estendersi il regime emergenziale; d) garanzia di un controllo giurisdizionale effettivo, anche se eventualmente differito, sulle misure adottate.
Nulla di tutto ciò si riscontra nella vicenda ungherese, nella quale in particolare non sono previsti limiti di tempo e, soprattutto, la valutazione del permanere della situazione di emergenza resta nei fatti affidata alla mera discrezionalità politica del governo.
Allo stesso modo, il Parlamento è sostanzialmente esautorato e l’attività delle Corti resta sospesa. Un vero e proprio “lockdown democratico”, perfettamente coerente con il profilo della “democrazia illiberale” più volte evocata da Orban: un (anti-)modello nel quale viene travolto l’equilibrio – tipico della storia del costituzionalismo – tra legittimazione popolare del potere e salvaguardia di istituti di garanzia i quali, limitando abusi da parte della maggioranza, tutelino le minoranze politiche e, soprattutto, i diritti e le libertà fondamentali.
Di fronte a tutto questo, la reazione dell’Europa sconta, ancora una volta, gli effetti del persistente squilibrio tra metodo intergovernativo e metodo democratico nella vita dell’Unione, almeno sotto due profili.
Da un lato, sebbene non si siano fatte attendere dichiarazioni fortemente critiche da parte della Commissione e di 14 stati membri, non si può dimenticare che le sanzioni previste dall’articolo 7, par. 3, TUE conseguono ad una delibera unanime del Consiglio europeo (escluso, ai sensi dell’art. 354 del TFUE, lo stato membro in questione) che accerti la violazione dei principi fondamentali di cui all’art. 2 TUE; ed è noto che esiste un patto di solidarietà tra Ungheria e Polonia che paralizza, nella sostanza, il ricorso a tale meccanismo.
Analoghi profili di fragilità si riscontrano, d’altro canto, sul versante politico: all’interno del PPE, che pure ha già sospeso Fidesz (il partito cui appartiene il Primo ministro ungherese), si è registrata una richiesta di espulsione congiunta da parte dei soli segretari di tredici dei partiti nazionali federati.
Anche in questo ambito, dunque, la resistenza di interessi e strategie ripiegati verso l’interno – e la persistente sofferenza di un orizzonte di solidarietà e responsabilità verso la casa comune – rischia di determinare l’assenza di una solida prospettiva di resistenza e reazione rispetto alle inedite e gravissime violazioni del principio democratico realizzate in Ungheria.
Di fronte alla sfida finale, lanciata dal nazionalismo populista alla democrazia costituzionale, l’UE deve invece assumersi una responsabilità storica: perché al di fuori del perimetro segnato dal costituzionalismo democratico, non c’è futuro per lo stesso processo di integrazione.
Image credit: Kistefos, EA Marc Quinn All of Nature Flows Through
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