
Narcisisti e violenti ma molto social
di Anna Losurdo
Da dove viene la rabbia enorme cha abbiamo dentro?
Le cause della rabbia sociale e politica sono sempre e solo economiche?
Su quale pensiero primitivo si innesta la logica elementare dell’odio?
È il limes l’idea originaria nella quale abbiamo trovato la misura etica per vivere nella polis e che ci impedisce di violare l’altro in nome delle pulsioni. La civiltà giuridica si contrappone alla logica primitiva della violenza (e della reazione violenta) e introduce la pena, il recupero.
Ma è anche la linea che possiamo attraversare per andare incontro all’altro, per creare relazioni e trasformarci reciprocamente.
È questo forse che spaventa: il mistero di ciò che può accadere.
Da questa paura ancestrale trae forse origine la pessima abitudine di suddividere l’umanità in categorie per poi individuarne una contro la quale scagliarsi.
Non esiste, invece, una suddivisione netta tutti i buoni da una parte e tutti i cattivi dall’altra.
Lo sappiamo bene. Anche se fingiamo di dimenticarlo.
Chiudere fuori gli altri o chiudere dentro noi.
Se i confini tra le persone fossero davvero permeabili, eviteremmo il confino a noi stessi.
Dal 2004, anno di esordio dei social, il narcisismo ha subito una impennata, come attestano numerosi studi effettuati in Italia e all’estero. Si stima che almeno il 20% delle persone potrebbe essere soggetto a sviluppare tratti narcisistici.
Il disturbo narcisista ha molte declinazioni e diverse intensità.
E come si sa, i narcisisti non possono amare nessuno.
Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è una parte del tutto. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te (John Donne).
E in realtà, mentre frequentiamo un mondo virtuale, che immaginiamo sconfinato, facciamo un gran parlare dei confini fisici.
Anche se, a ben vedere, anche sui social viviamo l’illusione della inesi-stenza dei confini e ci chiudiamo in filter bubble, confinati in comunità uniformi e nei gruppi chiusi.
Ed è proprio in questi ambienti che si proliferano haters e si diffonde il linguaggio d’odio: genere di parole e discorsi per esprimere odio e intolleranza verso una persona o un gruppo (razziale, etnico, religioso, di genere o orientamento sessuale) o nei confronti di categorie di soggetti più deboli.
La diffusione avviene attraverso due processi.
Il primo, è quello delle “cascate sociali”. ciascuno di noi tende a basarsi su ciò che fanno e pensano gli altri, in mancanza di informazioni di prima mano o su argomenti di cui non sappiamo niente.
L’altro è quello della “polarizzazione dei gruppi“. Fenomeno per cui quando persone con idee simili si parlano, finiscono con approdare a una idea più estrema di quella iniziale di ciascuno, passando da una adesione scettica alla certezza assoluta.
Basta poco a riconoscere il fenomeno e a riconoscerci.
E a trovare conferma di quanto ho appena detto.
È sufficiente scorrere il rullo delle notizie di Facebook e leggere la sequenza di commenti via via più assertivi, più categorici, più violenti.
Gli obiettivi? Intere categorie di persone, che polarizzano quel sentimento di frustrazione violenta che si alimenta di luoghi comuni e affermazioni apodittiche.
Un esempio per tutti? Il razzismo e i migranti.
Si disserta di migrazioni ignorando tutte le informazioni che servirebbero. Non sappiamo nulla di tassi di natalità e di morte; disponiamo di informazioni sommarie di geopolitica, ignoriamo le più elementari nozioni di demografia. Ma contiamo i migranti che sbarcano sul nostro territorio.
E gridiamo all’invasione.
Perché cosi mettiamo a tacere le nostre paure ancestrali. Sublimiamo le domande sul senso della nostra vita.
Con la violenza verbale possiamo sbandierare ai quattro venti la nostra non violenza.
E questo vale per tutte le forme di violenza malcelate o nascoste, anche a noi stessi.
Photo credit: LEGO Art by Nathan Sawaya Yellow
della stessa autrice, su Ora legale News:
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