Ritorno al futuro

Ritorno al futuro

di Sergio D’Angelo e Rita Monopoli

L’uomo è biologicamente predestinato a costruire un mondo e ad abitarvi in comune con gli altri.
(Peter Berger, Thomas Luckmann La realtà come costruzione sociale)

Città vuote, spettrali, assediate da un nemico invisibile. I suoi abitanti rinchiusi in case mai così affollate, da cui fuoriescono voci stereotipate di annunciatori televisivi. Sembra un incipit di un raccapricciante racconto di fantascienza, è invece quello che ci tocca sperimentare nella nostra attuale vita quotidiana.

L’emergenza sanitaria ci costringe a vivere un’esperienza di minacciosa insicurezza sia nel presente che per il prossimo futuro. Si diffonde un sentimento pervasivo e contagioso, l’ansia sociale: l’incapacità di reagire dinanzi a situazioni che provocano paura. La perdita di orientamento sociale e culturale è tra i suoi più potenti fattori scatenanti, uno stato sgradevole e paralizzante. Ci sentiamo incapaci di attribuire un senso alle vicende dell’oggi e incapaci di costruire una storia servendoci degli abituali schemi di riferimento. L’ansia è un disagio che può suscitare incontinenza emotiva e dissonanza cognitiva: blocca, immobilizza, ma può viceversa aprire un varco al cambiamento.

La forza più potente della nostra specie, la socialità, è ora inerte, costretta a cedere il passo alle misure di prevenzione sanitaria. La sua sospensione però può causare esiti disastrosi: il ritiro in sé stessi allo scopo di limitare i rapporti ansiogeni con gli altri (che sono i portatori del nemico invisibile), tenendo così a bada i pericoli disseminati dai nostri simili. Un humus ideale per generare ancor più individualismo e indifferenza, con i conseguenti effetti collaterali del risentimento e del rancore.

Ciononostante, l’ansia sociale, come altre sporgenze esistenziali, può stimolare la possibilità di nuovi apprendimenti. E’ possibile alleggerire un stato ansioso ripristinando il senso di controllo sulla realtà, recuperando la capacità di far accadere le cose.

Alla socialità torneremo, è il destino della nostra specie.
La domanda semmai è: potremmo in conseguenza dello shock pandemico trovare forme e modi di una socialità più compiuta?

Chi si occupa delle metodologie di sviluppo e potenziamento delle persone nelle organizzazioni sa che ogni azienda si dichiarerebbe a favore della collaborazione. In pratica, assistiamo spesso al cosiddetto “effetto silos”: individui isolati che lavorano in unità separate e scarsamente comunicanti. Le relazioni lavorative, e ancor più quelle personali, sono a breve termine, superficiali.

Se è vero che siamo una specie predisposta al rapporto con i nostri simili, è altrettanto vero che la capacità di collaborare con impegno si apprende lentamente, per esperienza diretta e con una certa fatica.
L’improvvisa interruzione delle nostre precedenti abitudini, per effetto di una emergente dissonanza, potrebbe disporci a sviluppare la difficile arte della collaborazione. Che si fonda sulla reciprocità, essenziale al mantenimento del comportamento altruistico. A una distribuzione ineguale di risorse, le persone, in particolare all’interno delle organizzazioni, reagiscono cessando di cooperare.

Rafforzare la capacità di collaborare non è un processo semplice, richiede esercizio e spesso l’aiuto di una guida esperta. Potrebbe essere una delle chance su cui puntare per il prossimo futuro: forse varrebbe la pena scommettere sulla sua riuscita.

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