Un sogno realizzato
di Marisa Acagnino (Giudice del Tribunale di Catania)
Me la potrei cavare con un “non è facile“, ma sarebbe estremamente riduttivo, certo per me, che sono figlia di magistrato, il confronto con l’epoca in cui mio padre svolgeva le stesse funzioni, è inevitabile.
Sono entrata in magistratura nell’ormai lontano 1983, quando bastava la laurea per partecipare al concorso e, già allora, mio padre diceva che “si preparavano tempi duri”, era stato indetto il referendum per la cd. “Giustizia Giusta” (come se avesse un senso contrapporne una “ingiusta”) e di responsabilità civile per i giudici, un tema che ogni tanto torna alla ribalta della nostra politica.
Da allora ne è passata acqua sotto i ponti: la stagione del terrorismo, “Mani Pulite”, le stragi…. e la magistratura è stata ora osannata, ora colpevolizzata, ma sempre considerata come un monolite, una categoria compatta, indubbiamente un luogo di esercizio del potere.
A parte il rilievo costituzionale del ruolo e la funzione del CSM, penso che, nel quotidiano esercizio della giurisdizione, il giudice non goda di un “potere”, nel senso comune del termine.
Il magistrato, comprendendo nella categoria anche i PM, (posso parlarne con cognizione di causa, avendo svolto tale funzione per circa 15 anni) se svolge il proprio ruolo con competenza, professionalità e assoluta terzietà, si limita ad amministrare la giustizia, interpretando la legge.
È certo un compito gravoso ed importante, ma io lo vedo come un servizio essenziale in favore della collettività, non un esercizio di discrezionalità, elemento imprescindibile della sovranità.
Di certo, il nostro legislatore, pur contestando l’invasione, da parte della magistratura, di spazi riservati alla politica, ha lasciato, e continua a lasciare, ampi spazi all’opera dell’interprete, ma è questa la sfida quotidiana del magistrato, trovare la soluzione al caso concreto, applicando la legge nello spirito della Costituzione: è una grandissima responsabilità, spesso da non dormirci la notte.
In questi ultimi anni, avverto due rischi, entrambi ugualmente gravi: la deriva burocratica della magistratura e il carrierismo.
La mia categoria, oggi gravata da carichi di lavoro eccessivi, ha perso la passione necessaria per dare impulso, con la giurisprudenza, all’evoluzione del diritto, essendo più interessata ad individuare “carichi di lavoro esigibili”, per potersi difendere da un’eventuale azione disciplinare.
La riforma dell’ordinamento giudiziario, che ha introdotto la cd. “rotazione” degli incarichi direttivi e semidirettivi e le circolari del CSM che hanno ridotto drasticamente l’incidenza del criterio dell’anzianità, nella scelta dei magistrati dirigenti, invece di raggiungere l’obiettivo di rendere meno appetibili detti incarichi, in quanto a termine, e di consentire un controllo sulle capacità dei nominati, hanno incentivato la competizione e gravato il CSM di una discrezionalità di cui, come le cronache recenti hanno rivelato, non sempre si è fatto buon uso.
Potrei continuare a lungo, anche solo ad elencare gli ostacoli che ogni giorno un qualsiasi magistrato incontra, per svolgere un lavoro che, nonostante tutto, per me, continua ad essere un sogno della mia vita realizzato… ma forse sarebbe stato meglio scrivere: “non è facile”.
Photo credit: Pixabay
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