
L’ultimo miglio della legge professionale forense
di Armida Dal Bo (Avvocata in Treviso)
È da poco iniziato il nuovo anno, ma nell’Avvocatura si sente sempre più forte l’esigenza di riacquistare unità ed autorevolezza.
La strada è sicuramente in salita, ma uno dei mezzi è riappropriarsi di quelle competenze che l’Avvocatura ha abbandonato, timida nell’affermare la propria specificità ed il proprio ruolo, lasciando cedere il passo ai più svariati principi.
Negli ultimi anni, il processo di liberalizzazione nelle prestazioni di servizi legali ha consentito a molteplici operatori di fare della consulenza legale un vero e proprio business.
Sottratti a qualsiasi controllo ordinistico, obbligo deontologico o di formazione, e men che meno assicurativo, costoro hanno fornito prestazioni di consulenza legale nei più svariati settori, investito capitali in operazioni di marketing strutturate e, soprattutto, mirato a target costituiti da soggetti fragili, piccole e medie aziende in crisi e consumatori sovraindebitati.
Il tutto sotto la protezione del principio di libertà di prestazione di servizi e grazie al vuoto creato dall’assenza di una totale riserva dell’attività di consulenza alle professioni ordinistiche, e della consulenza legale in particolare.
Gli investimenti nel marketing di tali liberi operatori nel mercato della liberissima concorrenza sono stati proporzionali ai fatturati ed utili attesi.
Nella logica del profitto, i nuovi “prestatori di servizi legali” hanno creato artificialmente il “bisogno” di contenziosi bancari, anche laddove non c’erano i presupposti, illuso sovraindebitati di potersi esdebitare a costo ed impegno zero, promesso a giovani avvocati azioni giudiziali per contenziosi massivi per ridurne i compensi.
I risultati per i destinatari dei “servizi” sono sotto gli occhi di tutti: un aumento esponenziale del contenzioso bancario con l’avvio di contenziosi anche laddove non vi erano i presupposti, procedure di sovraindebitamento mai attivate, aziende fallite, perché illuse di poter risolvere la propria insolvenza solo facendo causa alle banche.
Il labile discrimen oggi consentito dall’art. 2 della Legge Professionale in vigore, tra attività di consulenza legale e assistenza legale stragiudiziale connessa all’attività giurisdizionale e quella che ad essa potrebbe non ritenersi connessa, ha lasciato spazio alle più fantasiose formule lucrative di players scevri da ogni preoccupazione (e men che meno obbligo) di tutela degli interessi dei clienti.
Una visione lungimirante del futuro della professione di Avvocato non potrà prescindere da una, certo non facile, modifica legislativa dell’art.2 LP solo apparentemente impopolare e retrograda.
Sarà necessario ritornare al testo del disegno di Legge Professionale, che all’art. 2 comma 6 prevedeva semplicemente la riserva piena di legge per la consulenza e assistenza legale stragiudiziale, da integrare semmai con l’apporto delle specifiche competenze di altre professioni ordinistiche.
Non per la bieca finalità di coltivare il proprio giardino, ma al contrario proprio per evitare che la selvaggia prestazione di servizi legali da parte di chiunque e con finalità esclusivamente di lucro si traduca in una lenta ma irreversibile dismissione di diritti fondamentali dei cittadini.
I diritti non si tutelano solo davanti agli organi di giustizia, ma anche prima e fuori dalle aule dei Tribunali.
La funzione di tutela preventiva della violazione dei diritti fondamentali non ha minore importanza della loro tutela in sede giurisdizionale.
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